#Iran #Soleimani L’assassinio di Soleimani nel quadro dell’occupazione USA in Iraq

Il generale Sardar Qasem Soleimani è l’ennesima vittima della devastazione statunitense del Medio Orinte. foto tehrantimes

Il generale Soleimani, personaggio di spicco nella regione mediorientale era il comandante della Guardia Rivoluzionaria Iraniana. Sulla Guandia Rivoluzionaria in questi giorni si è detto e scritto un po’ di tutto, ma per fare chiarezza bisogna fare riferimento al 2017 e alla decisione del Parlamento iraniano. In quell’anno infatti l’Iran adottò una risoluzione, basata sulla Costituzione degli Stati Uniti d’America, e integrandola nel proprio ordinamento, che equiparava la Guardia Rivoluzionaria Iraniana alla Guardia Nazionale degli Stati Uniti. Quindi, dicerie a parte, Soleimani era il generale della Guardia  iraniana, omologo del Generale Craig R. McKinley comandante della Guardia Nazionale degli Stati Uniti, oltetutto non era un terrorista, ma un militare che combatteva il terrorismo.

Il generale Sardar Qasem Soleimani era anche una delle figure più amate dagli Sciiti e aveva dedicato la sua vita a combattere i terroristi che minacciano il Medio Oriente e che non sono Sciiti ma Sunniti. Infatti il generale Soleimani era colui che maggiormente aveva contribuito a cacciare l’ISIS dall’Iraq e a contrastarlo al fianco dell’Esercito Siriano e alla Russia in Siria. Ma fu soprattutto in Iraq, a Mosul, che il suo ruolo di stratega fu fondamentale per liberare il territorio dallo Stato Islamico.

Soleimani nacque nella città iraniana di Rabor, l’11 marzo 1957, trascorse l’infanzia e l’adolescenza a lavorare col padre, finché ancor giovane si arruolò nella Guardia Rivoluzionaria. Una volta salito di grado, Soleimani aveva addestrato diversi battaglioni nella provincia di Kerman. Quando l’Iraq tentò d’invadere l’Iran, Soleimani venne mandato al fronte a Selangor, dove venne nominato comandante della 4^ divisione della Guardia. Rimase coinvolto in vari scontri militari dimostrando grande valore, e alla fine della guerra venne promosso al grado di maggiore generale (il più alto grado militare in Iran) dall’ayatollah Khamenei.

L’Iraq occupato di oggi

Oggi l’Iraq è un occupato, che “ospita” migliaia di soldati statunitensi e occidentali, è caratterizzato da una popolazione che per oltre il 60% è di fede Sciita. Stante l’instabilità del paese, conseguente alla guerra pretestuosa scatenata dall’occidente, gli Sciiti iracheni, guardano all’Iran, così come i Cattolici guardano a Roma. Durante tutto il 2019, il vicino Iran è stato attraversato da manifestazioni di protesta causate dalla crisi economica del paese, conseguente all’embargo imposto dagli Stati Uniti. Anche l’Iraq, dal 1° ottobre 2019 è stato investito da manifestazioni, causate invece dalla miseria e dalla persistente occupazione occidentale del paese. I due paesi vivono quindi un momento critico caratterizzato da tensioni, delle quali sono responsabili gli Stati Uniti e i loro alleati. Attualmente, il maggior timore è degli iracheni, è che gli USA trasformino il loro paese nel campo di battaglia di una guerra tra Stati Uniti e Iran.

Il 29 agosto 2019, l’International Crisis Group ha pubblicato un rapporto in cui si chiede che il conflitto USA-Iran non coinvolga l’Iraq. Finora gli Stati Uniti e l’Iran non si erano, mai scontrati direttamente, ma ora, l’assassinio del generale iraniano Soleimani per mano americana, sta spingendo il governo iracheno a schierarsi. Conseguentemente all’omicidio, se gli Stati Uniti fossero un paese pacifico, affronterebbero la crisi diplomaticamente e si asterrebbero dal coinvolgere l’Iraq nella loro ennesima aggressione. Ma siccome dubitiamo esista uno spirito pacifista negli USA, attualmente gli iracheni si trovano nell’occhio del ciclone.

Il crimine compiuto dagli statunitensi, rientra nella campagna di “massima pressione” lanciata da Washington nel 2018 contro l’Iran, iniziata quando gli Stati Uniti e Iran si ritirarono unilateralmente e in modo ingiustificato dall’accordo sul nucleare. Le conseguenti sanzioni contro l’Iran vennero immediatamente reintrodotte nel novembre dello stesso anno e inasprite a metà del 2019.

Un governo pesantemente infiltrato dall’occidente

Il modello di governo insediato dagli Stati Uniti dopo aver “democratizzato” l’Iraq è uno dei più corrotti al mondo, secondo i rapporti di Transparency International. Il paese occupa il 168° posto su 180 paesi indicati dall’organizzazione. La corruzione in Iraq ostacola la ricostruzione da oltre un decennio. L’ex primo ministro Nouri al-Maliki ha “perso” 500 miliardi di dollari durante il suo mandato (2006-2014), secondo l’Iraqi Integrity Committee (CPI). Una cifra enorme visto che in tale periodo, le entrate petrolifere dell’Iraq ammontavano a 800 miliardi di dollari. Finora il governo filo-americano iracheno ha fatto poco per ricostruire le città distrutte dopo la lotta contro l’ISIS. Ha fatto ben poco per stabilire qualsiasi forma di conciliazione etnica o settaria, e gran parte della “ricchezza petrolifera” è consumata da politici, funzionari governativi tra i più pagati e meno produttivi nei paesi in via di sviluppo.

Dal 1° ottobre 2019, gli iracheni hanno lanciato una serie di proteste contro l’opulenza dei funzionari, denunciando l’ingiustificata miseria che permane nel paese. Successivamente all’invasione occidentale, le differenze sociali quasi inesistenti nell’Iraq Bahatista, si sono accentuate tanto che la maggior parte della popolazione oggi vive in totale miseria. Il 25 ottobre 2019 i manifestanti affrontarono sul ponte Al-Jumhuriya di Baghdad i mercenari delle agenzie straniere presenti nel paese. I manifestanti tentarono di entrare nella Green Zone, che ospita l’Ambasciata Americana, dopo gli scontri i morti furono centinaia e i feriti migliaia. La maggior parte dei manifestanti è cresciuta durante l’invasione e l’occupazione degli Stati Uniti e le conseguenti violenze, un giovane dimostrante dichiarò: “Siamo una generazione nata nella guerra, abbiamo trascorso la nostra giovinezza nel terrorismo, la nostra adolescenza nel settarismo e la nostra giovinezza nella corruzione. Siamo la generazione di sogni rubati e invecchiamento prematuro”.

Essendo il generale Soleimani un personaggio influente nella regione, all’inizio delle proteste si era recato a Baghdad diverse volte preoccupato dal fatto che la rivolta popolare contro gli USA e i leader iracheni, destabilizzassero l’intera area. Dopo le pressioni di Soleimani, il governo ammise gli eccessi compiuti contro i manifestanti e non vi furono ulteriori violenze. La situazione precipitò il 28 novembre, quando le forze di sicurezza si scontrarono coi manifestanti a Nassiriya, uccidendo almeno 46 persone e ferendone molte altre. Un testimone oculare ha dichiarato: “Hanno aperto il fuoco senza sosta senza smettere di sparare, la gente è scappata. Ho visto almeno cinque persone morire prima di me. Tutti coloro che vennero uccisi rimasero in strada e le truppe picchiarono quelli che avevano catturato. Li ho visti picchiare le persone come per ucciderle: una catastrofe”.

L’assassinio con strage di Soleimani

Il generale venne poi assassinato per mano statunitense il 3 gennaio scorso, cancellando vigliaccamente una vita coraggiosa spesa sui campi di battaglia a combattere il terrorismo islamico. Il missile lanciato da un elicottero statunitense, oltre a Soleimani, ha ucciso 13 iraniani, tra cui il vice capo delle PMF irachene Abu Mahdi al-Muhandis, combattente storico contro lo Stato Islamico anche al fianco degli Stati Uniti.

L’attacco statunitense presenta però alcune zone d’ombra, in primis, l’entourage del generale aveva informato le agenzie internazionali sugli spostamenti di Soleimani, prassi che viene seguita globalmente per tutelare le personalità da attacchi. Inoltre, da un punto di vista formale, gli Stati Uniti non hanno mai dichiarato guerra all’Iran, quindi l’attacco assume le connotazioni di un crimine.

Anche se si è dichiarato che l’attacco sarebbe stato condotto sotto la diretta supervisione e direzione del Presidente degli Stati Uniti, in realtà quando Soleimani veniva colpito, Trump si trovava in vacanza. Seguendo le tempistiche, successivamente all’omicidio con strage, il Presidente è stato raggiunto dal Segretario di Stato Mike Pompeo, che lo ha informato dei fatti. A questo fatto si aggiunga lo strano silenzio su Twitter di Trump, che generalmente è piuttosto attivo sul social network.

Vi è poi un precedente, tra il 6 e il 7 dicembre 2019, nonostante le sollecitazioni del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti, Trump aveva respinto l’opzione di assassinare Soleimani. Successivamente, a metà dicembre la Camera degli Stati Uniti avviava la procedura di impeachment del presidente, con 230 voti favorevoli e 197 contrari; in attesa del passaggio al Senato, Trump è ora particolarmente indebolito. Secondo molti osservatori, l’Industria Bellica americana ha bisogno di una guerra e siccome il Presidente non prendeva iniziative, approfittando della sua debolezza, il deep state ha scavalcato Tump uccidendo Soleimani, mentre questi è particolarmente debole.

Quindi il Presidente USA ha appreso dell’omicidio con strage solo a cose fatte, cioè quando Pompeo lo ha avvisato e come prima reazione non ha scritto commenti via Twitter, ma si è limitato a postare la bandiera degli Stati Uniti. I suoi proclami roboanti appartengono alle ore successive, con esagerazioni quali la distruzione dei siti storico-archeologici, minacciando di cancellare i monumenti plurimillenari di una delle più grandi civiltà Euroasiatiche: un atto che rappresenterebbe uno sfregio della nostra civiltà interconnessa a quella iraniana. Infine, volendo infierire in questo momento di debolezza di Donald Trump, i democratici americani invocano di togliere al Presidente i poteri di comandante in capo, poteri che consentirono al predecessore Barack Obama di aprire sette fronti di guerra con vari pretesti e commettere crimini di guerra tuttora impuniti.

In questo cortocircuito democratico, l’Europa rischia di essere trascinata in una disgustosa avventura di guerra, che mieterebbe vite innocenti per soddisfare l’insaziabile appetito imperialista statunitense.

 

Luciano Bonazzi

Fonti: globalresearch.ca – oltre a tutti i link esterni inseriti nell’articolo

 

 

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Pubblicato da Luciano Bonazzi

Sono il Col. Luciano Bonazzi, mi occupo di varie tematiche scientifiche, tecnologiche e di cronaca. Ho scritto su vari blog, piattaforme e Magazine. / I'm Col. Luciano Bonazzi, I deal with various scientific, technological and news issues. I write on various blogs, platforms and magazines.

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