#Tibet La questione Tibetana entra nel conflitto Cina-India

Secondo il governo indiano le nuove tensioni scoppiate tra Cina e India, hanno avuto inizio nei primi giorni di maggio, quando i soldati cinesi sono entrati nel Ladakh. Questa regione indiana, racchiusa tra Karakorum e Himalaya, confina a est con la Cina e a ovest col Pakistan. I militari cinesi sconfinati in India, hanno eretto tende, istituito posti di guardia, ignorato gli avvertimenti verbali, urlato, lanciato pietre e preso a pugni i soldati indiani. Da allora, per settimane, migliaia di soldati dei due paesi si sono affrontati lungo il confine, a pochi metri l’uno dall’altro.

Oltre a questi comportamenti provocatori, Pechino è accusata dall’India d’aver costruito una strada e ampliato una pista di atterraggio, forse per affermare il suo controllo su una parte del confine, mai chiaramente definita. Secondo gli osservatori, la preesistente pista di atterraggio cinese nell’ultimo anno è stata modificata ad uso militare, dispiegandovi una batteria missilistica terra-aria e quattro aerei da combattimento. Quanto osservato trova conferma nelle recenti immagini satellitari che mostrano i lavori di costruzion di una pista di rullaggio, rampe di parcheggio e un’area per il decollo rapido.

Mercoledì 27 maggio, dopo la rissa tra truppe cinesi e indiane, nel corso di un briefing, il portavoce del ministero degli Esteri cinese Zhao Lijian ha dichiarato che la situazione è “stabile e controllabile”. Il diplomatico ha assicurato alla stampa, che le parti stanno dialogando per “risolvere adeguatamente ogni questione attraverso il dialogo”. Stesse rassicurazioni sul territorio di Doklam, altra linea di confine oggetto di attriti tra India e Cina, per la quale, dopo 73 giorni di crisi, le parti si sono impegnate a fermare le ostilità, mantenendo lo stallo. In questo secondo confine che coinvolge anche il Bhutan, nel 2017, le truppe indiane furono mobilitate per contrastare presunte mosse cinesi di espansione. All’epoca, la situazione venne disinnescata utilizzando i canali diplomatici.

Rivendicazioni e ritorsioni

Complessivamente, la Cina rivendica circa 90.000 chilometri quadrati di territorio nel nord-est dell’India, incluso lo stato indiano dell’Arunachal Pradesh, la cui popolazione è tradizionalmente buddista. Dal canto suo, l’India rivendica 38.000 chilometri quadrati di territorio cinese sull’altopiano di Aksai Chin, nell’Himalaya occidentale e una parte della regione del Ladakh. Questi conflitti tra i due paesi vennero congelati nel 1993, dopo la firma dell’accordo sul “Mantenimento della pace e della tranquillità” lungo la linea definita Linea Attuale di Controllo (LAC). Tuttavia l’accordo LAC non ha mai risolto completamente le dispute, soprattutto dopo l’avvento sulla scena politica dell’attuale Premier indiano Narendra Modi, un nazionalista intransigente.

In questo quadro strategico si inserisce il sostegno dato da Pechino al Pakistan, riguardo alla contesa territoriale sul Kashmir, che contrappone invece Islamabad a New Delhi. Nella sezione contesa nel Kashmir, cioè lo stato autonomo di Azad-Kashmir amministrato dal Pakistan, la Cina ha costruito un’importante strada di collegamento. Tramite questa infrastruttura, la Cina si è così inserita in quel conflitto territoriale, probabilmente come ripicca dopo il rifiuto dell’India di aderire alla Nuova via della Seta lanciata dal presidente cinese Xi Jinping. Un’altra ritorsione da parte cinese ha riguardato il veto frapposto da Pechino all’ingresso dell’India nel Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, come membro permanente.

LE implicazioni economico-commerciali

 

Ciò che si nasconde realmente dietro alle tensioni di confine, è il braccio di ferro economico di una Cina che, nell’ultimo decennio, fa pesare sull’area il proprio preponderante surplus commerciale. Sono più di 100 le aziende cinesi, molte delle quali di proprietà statale, che operano in India tramite proprie succursali. Aziende cinesi come Xiaomi, Huawei, Vivo e Oppo controllano quasi il 60% del mercato indiano della telefonia mobile, mentre le esportazioni dell’India verso la Cina riguardano cotone, rame e pietre preziose.

Il volume degli scambi tra Pechino e New Delhi nel 2018 aveva superato i 95 miliardi di dollari, e nella sola prima metà del 2019 aveva già superato i 53 miliardi, dei quali, quasi 43 miliardi riguardavano le esportazioni cinesi in India. Questo squilibrio ha contribuito non poco a deteriorare i legami tra India e Stati Uniti, ma anche i rapporti tra New Delhi e le multinazionali europee.

LE INGERENZE ESTerne

 

In questo scenario geopolitico gli Stati Uniti non potevano certo limitarsi a fare da spettatori. Essendo Pechino il principale concorrente economico di Washington, gli USA sono sempre pronti a ogni tipo di iniziativa, più o meno lecita, contro la Cina. Recentemente, la vicenda globale della pandemia da Covid-19 è stata ampiamente strumentalizzata da Washington per incolpare i cinesi di aver diffuso il virus nel resto del mondo. Vi è poi la questione dell’ex colonia inglese di Hong Kong, territorio cinese soggetto a legislazione speciale, che da mesi è attraversato da violente manifestazioni, alle quali Pechino risponde il più moderatamente possibile, terrorizzata dall’accusa di voler scatenare una nuova Piazza Tienanmen. Riguardo a Hong Kong, senza volerci schierare da una parte o dall’altra, ci chiediamo: cosa accadrebbe nella colonia americana di Porto Rico, che da sempre rivendica l’indipendenza, se il popolo si sollevassero contro l’occupazione statunitense?

Altro scenario di conflitto tra Cina e Stati Uniti è l’Arcipelago Spratly nel Mar Cinese Meridionale, zona di passaggio della Nuova via della Seta marittima. In quest’area, gli USA sono particolarmente impegnati in continue esercitazioni militari, atte a intralciare la navigazione commerciale cinese. A onor del vero, le isole dell’arcipelago sono oggetto anch’esse di contesa territoriale tra Vietnam, Filippine, Cina, Malaysia, Taiwan e Brunei. Nonostante gli Stati Uniti con tale disputa non c’entrino nulla. è evidente che anche nel caso di questo Arcipelago gli USA si intromettono per tenere alto il livello di tensione con la Cina.

La questione tibetana quale nuovo pretesto

In gran parte dell’occidente, la questione tibetana è trova ampio spazio. Inoltre, il Buddhismo Mahāyāna rappresentato da sua Santità il Dalai Lama, ha portato molti occidentali a “convertirsi” o simpatizzare per questa filosofia di vita, che si può vivere pur appartenendo ad altre religioni o essendo atei. Va detto che la via Mahāyāna, non è la corrente maggioritaria, lo è invece il Theravāda, la forma dominante in Asia meridionale e nel Sud-est asiatico, i cui fedeli non riconoscono il Dalai Lama quale unico rappresentante del buddhismo.

La causa tibetana riscuote simpatie in tutto il mondo, anche perché la cruenta annessione del Tibet da parte della Cina è nota all’opinione pubblica, anche grazie al portavoce del Dalai Lama, la star hollywoodiana Richard Gere. A questo fattore si aggiungano film come Sette Anni in Tibet con Brad Pitt, Piccolo Buddha diretto da Bernardo Bertolucci e interpretato da Keanu Reeves, o il celeberrimo romanzo Siddhartha, edito nel 1922 dallo scrittore tedesco Hermann Hesse. Fatta questa sintesi, se poco si può eccepire sugli interessi cinesi riguardo a Hong Kong, Taiwan e parte dell’Arcipelago Spratly, l’invasione del Tibet resta una ferita aperta.

Stanti le tensioni tra Pechino e New Delhi, in considerazione del fatto che il Dalai Lama, dopo la fuga dalla patria nel 1959 viene ospitato in India, è naturale che la questione tibetana sia entrata nel gioco delle parti. Attualmente, il leader spirituale tibetano vive in esilio nella città di Dharmsala, nel nord dell’India, con migliaia di profughi tibetani e continua a rivendicare il ripristinino della sovranità del Tibet. Alla luce delle nuove tensioni di confine, non solo il Primo Ministro indiano Narendra Modi si è detto pronto a riconoscere l’indipendenza del Tibet, ma anche gli Stati Uniti potrebbero prendere un’analoga decisione.

Il 19 maggio scorso, il rappresentante repubblicano al Congresso USA Scott Perry, ha presentato la proposta di legge HR 6948, per autorizzare il Presidente degli Stati Uniti Donald Trump a riconoscere la Regione autonoma del Tibet come paese separato e indipendente della Repubblica popolare cinese. L’introduzione di questa risoluzione, ha ovviamente suscitato l’entusiasmo dei tibetani e dei tanti simpatizzanti della loro causa in tutto il mondo.

Sarà ora necessario mantenere il focus sulle prossime mosse cinesi, per comprendere al meglio i futuri sviluppi delle tensioni nell’area Himalaiana e negli altri punti di contrasto.

Luciano Bonazzi

 

Fonti: eurasiantimes.com, pakistantoday.com.pk oltre ai link inseriti nel testo.

 

 

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Pubblicato da Luciano Bonazzi

Sono il Col. Luciano Bonazzi, mi occupo di varie tematiche scientifiche, tecnologiche e di cronaca. Ho scritto su vari blog, piattaforme e Magazine. / I'm Col. Luciano Bonazzi, I deal with various scientific, technological and news issues. I write on various blogs, platforms and magazines.

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