#BlackLivesMatter Le radici democratiche del razzismo negli Stati Uniti

La questione razziale negli USA, le strumentalizzazioni antistoriche degli “inginocchiati”, l’ignoranza iconoclastica e l’autogol dell’inno nazionale nero prima delle partite NFA.

 

Da oltre un mese, una serie di violente proteste attraversano gli Stati Uniti, a causa dell’uccisione violenta dell’afroamericano George Floyd, causata da un poliziotto violento nella democratica Minneapolis. Per far fronte alle questioni sollevate dalla comunità nera, Roger Goodell, commissario della National Football League, la maggiore lega professionistica nordamericana di football americano, ha deciso di schierarsi, sostenendo i giocatori afroamericani nella loro lotta per l’uguaglianza razziale. Il commissario ha così deciso, che per onorare le vittime nere del razzismo la NFL adotterà l’inno “Lift Every Voice and Sing” (Si levi ogni voce e canti) all’apertura delle partite del campionato 2020.

Sarà quindi possibile ascoltare questo inno a partire dall’incontro Houston Texans contro Kansas City Chiefs, del 10 settembre prossimo. “Lift Every Voice and Sing”, noto come inno nazionale nero, andrà a precedere l’esecuzione del consueto “The Star-Spangled Banner” (Lo stendardo stellato). Dunque non si tratterà di una sostituzione, ma saranno eseguiti entrambi gli inni, dando la precedenza all’inno nazionale nero.

Sulla scia del brainstorming iniziato circa un mese fa negli Stati Uniti ed estesosi a tutto l’occidente, anche FedEx, società di spedizioni resa celebre dal film Cast Away con Tom Hanks, ha chiesto siano fatti alcuni cambiamenti. Innanzitutto, come società comproprietaria dei diritti sullo stadio di Washington, ha chiesto alla squadra dei Redskins (pellerossa) di cambiare nome. Il CEO di FedEx Frederick Smith, ha sostenuto che in tanti considerano il nome della squadra un insulto razzista e in tal senso sta facendo pressioni per ottenerne il cambiamento: “Abbiamo comunicato al team di Washington la nostra richiesta di cambiare il nome del team”.

Oltre a FedEx, anche Nike e Pepsi minacciano di chiudere ogni rapporto con i Redskins, se questi non cambiano nome. A queste multinazionali si sono poi unite le società finanziarie che gestiscono 87 fondi, legati a organizzazioni religiose e no profit, che si occupano di sociale, ambientalismo e popolazioni indigene. Nonostante le forti pressioni, il patron dei Redskins Dan Snyder, afferma che non vuole cambiar nome e insiste sul fatto che la squadra si chiama così, in onore dei nativi americani. A sostegno della sua affermazione ha citato un sondaggio uscito sul Washington Post del 2016, dal quale risultava che nove nativi su dieci, dichiaravano di non sentirsi offesi dalla denominazione della squadra.

Da quando è iniziata la protesta degli afroamericani, stiamo assistendo alla riscrittura della storia e ad atti iconoclastici che lasciano perplessi. Iniziando dalla contestazione contro Abramo Lincoln, cioè il presidente americano che liberò gli schiavi, proseguendo con l’imbrattamento del busto dedicato allo spagnolo Miguel De Cervantes, autore del Don Chisciotte che gli ignoranti non sanno che era uno schiavo, acquistato dal padrone turco nel mercato degli schiavi presso il Porto di Algeri. Anche Cristoforo Colombo è ampiamente nel mirino dei contestatori, poiché ignorano il fatto che questi era un esploratore convinto di aver scoperto quella che riteneva la costa occidentale dell’Asia e che non si arricchi sulle spalle dei nativi americani, anzi, dopo il suo rientro in Europa morì in povertà.

Infondati preconcetti ideologici

 

In Italia e non solo, vige l’assunto destra-fascista e sinistra-progressista, un assioma che però non si applica ai Repubblicani e ai Democratici americani. Altra incongruenza dovuta all’ignoranza, è che in parte dell’occidente si attribuisce la responsabilità dello schiavismo in america e della segregazione razziale ai repubblicani. Innanzitutto a liberare gli schiavi fu il repubblicano Abramo Lincoln attraverso il Proclama di Emancipazione emesso il 1º Gennaio 1863. Dal canto loro, i possidenti terrieri e proprietari di schiavi, probabilmente per contrapporsi al presidente repubblicane, sostennero invece i democratici.

Nel video: The Racist History of the Democratic Party (La storia razzista del Partito Democratico)

Dopo la morte di Lincoln, successe a questi il democratico Andrew Johnson, il quale permise ai possidenti di adottare sotterfugi legali atti a protrarre la schiavitù. In tal senso fa scuola la vicenda storico-biografica del capitano Newton Knight, sul quale è stato realizzato il film Free State of Jones. La vicenda spiega esattamente, come negli ex Stati Confederati i possidenti erano democratici, mentre poveri, schiavi e agricoltori sostenevano i repubblicani. Sempre in questo film, ricco di immagini storiche ed evocative dell’epoca, si descrivono le prime scorribande sanguinose del Ku Klux Klan.

Nell’immagine in alto, il governatore democratico dell’Alabama George Wallace impedisce l’accesso all’Università dell’Alabama ai primi due studenti universitari afroamericani. Nella foto sotto l’afroamericana Vivian Juanita Malone Jones riesce finalmente a entrare nell’ateneo.

 

Scavando nel torbido, scopriamo il cui il primo Grand Wizard del KKK, fu il tenente generale della ex-cavalleria confederata Nathan Bedford Forrest, che parallelamente militava nel Partito Democratico. A seguire troviamo anche anche il trentatreesimo presidente democratico degli Stati Uniti, Harry Truman avvicinatosi al KKK tramite gli amici Edgar Hinde e Spencer Salisbury, ma non fu il solo presidente americano del Clan. Altri membri di spicco furono il rappresentante dei democratici alla Corte suprema degli Stati Uniti Hugo Black e il senatore  della Virginia Occidentale Robert Byrd, anch’egli democratico, membro del Ku Klux Klan negli anni ’40 e reclutatore del Clan col grado di Kleagle (Gran Dragone). Di recente, dopo le proteste afroamericane, il Bethany College della Virginia ha annunciato che rimuoverà il nome del defunto senatore Byrd, cui è intestato il centro sanitario della scuola… piccolo inciso, sembra che qualcuno o qualcuna, abbia agito e stia agendo per rimuovere i risultati di ricerca in tal senso, dal motore di ricerca di Google: provare per credere!

Il senatore democratico Robert Byrd con Hillary Clinton foto: americanpolicenews

 

Anche l’ex senatore dello Stato della Louisiana, David Duke, fu Gran Maestro del Ku Klux Klan ed esponente del partito democratico dal 1975 al 1988. Ma un posto d’onore va riservato al governatore dell’Alabama George Wallace il quale, quando Vivian Juanita Malone Jones, la prima afro-americana s’immatricolo all’Università dell’Alabama nel 1963, tentò d’impedirle l’accesso all’ateneo piazzandosi davanti alla porta d’entrata. Wallace era un esponente dei democratici del Sud, che come abbiamo fin qui spiegato erano storicamente avversi alle lotte degli afroamericani per i diritti civili.

L’autogol dell’Inno Nazionale Nero

 

Lo spettacolo cui stiamo assistendo nell’ultimo anno, sotto vari aspetti è un teatrino congegnato dal deep-state statunitense per sbarazzarsi dell’imbarazzante presidente Donald Trump. Per quanto nessun uomo di potere statunitense ci piaccia, rileviamo che questo magnate salito al potere come tutti gli altri miliardari prima di lui, è davvero anomalo. Intanto, almeno per ora cerca di evitare le guerre, ad esempio non ha sganciato 26.172 bombe come fece Obama in un solo anno, il 2016. Già questo dato fa capire perché Trump non piace all’industria bellica statunitense, al Pentagono, al gruppo di oligarchi che detengono il vero potere negli USA, né tantomeno ai fucsia liberal che quando sono al potere riescono a intercettare prebende dalle transazioni e dalle lobby: avere tra i piedi un tizio volgarotto e incorruttibile perché ricco sfondato, per costoro dev’essere un dramma!

Veniamo ora all’inno grazie al quale i nemici di Trump vorrebbero assestargli il colpo finale, consentendo al candidato democratico di batterlo. Ebbene, il “Black National Anthem” che sarà cantato ai giochi della NFL, al contrario di quello che pensano gli ignoranti, è stato scritto sì da un afroamericano, ma non da un democratico. L’autore era infatti il console e avvocato James Weldon Johnson, il quale oltre che scrittore era un attivista politico repubblicano, che lottava per i diritti civili degli afroamericani.

James Weldon Johnson scrisse il testo di “Lift Every Voice and Sing” e suo fratello mise le parole in musica, per denunciare gli attivisti democratici che avevano linciato alcuni afroamericani. Fu così che nacque quello che divenne noto come “Inno nazionale nero”. Un inno divento famoso quando venne eseguito in onore dell’attivista repubblicano Booker T. Washington ex schiavo, portavoce e leader della comunità nera, mentre questi era in visita nella scuola fondata da Weldon: dunque, buon inno a tutti!

Luciano Bonazzi

Fonti: thegatewaypundit, eu.usatoday, oltre ai link esterni inseriti nel testo

/ 5
Grazie per aver votato!

Pubblicato da Luciano Bonazzi

Sono il Col. Luciano Bonazzi, mi occupo di varie tematiche scientifiche, tecnologiche e di cronaca. Ho scritto su vari blog, piattaforme e Magazine. / I'm Col. Luciano Bonazzi, I deal with various scientific, technological and news issues. I write on various blogs, platforms and magazines.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.