Dal Gatestone Institute, riceviamo il seguente articolo scritto da Philip Carl Salzman, Pezzo in lingua inglese, Multiculturalists Working to Undermine Western Civilization
Traduzioni di Angelita La Spada, adattamenti a cura della Redazione.
–A differenza del postmodernismo, che considera la cultura occidentale non migliore di altre culture, il post-colonialismo considera la cultura occidentale inferiore alle altre culture.
–Più che migliorare la cultura occidentale attraverso l’arricchimento offerto nei paesi con radici giudaico-cristiane da differenti gruppi etnici e religiosi, i multiculturalisti rifiutano di fatto la propria cultura occidentale.
–L’Occidente, anche se imperfetto, offre comunque più libertà e prosperità a un maggior numero di persone come mai prima d’ora. Se la civiltà occidentale vuole scampare a questo disprezzo, farebbe bene a ricordare alla gente i suoi successi storici: l’umanesimo e i valori morali derivanti dalle tradizioni giudaico-cristiane; il suo pensiero illuminista; le sue rivoluzioni tecnologiche; la sua evoluzione politica in una vera democrazia; la separazione della Chiesa dallo Stato; il suo impegno per i diritti umani e soprattutto la sua libertà di espressione gravemente minacciata. Gran parte di ciò che c’è di buono nel mondo si deve solo alla civiltà occidentale. È di vitale importanza non buttarlo via né di perderlo.
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Negli ultimi dieci anni, molti in Occidente hanno affinato una narrazione storicamente senza precedenti – una narrazione che non solo rinuncia alla cultura che hanno ereditato, ma che nega la sua stessa esistenza. Qui di seguito alcuni esempi.
Durante una conferenza stampa tenutasi a Strasburgo nel 2009, ad esempio, l’allora presidente americano Barack Obama iniziò a sminuire l’unicità degli Stati Uniti. “Credo nell’eccezionalismo americano, esattamente come gli inglesi credono nell’eccezionalismo britannico e i greci in quello greco”. Inoltre, nel 2010, Mona Ingeborg Sahlin, che all’epoca era la leader del Partito socialdemocratico svedese, raccontò a un raduno dell’organizzazione giovanile turca Euroturk: “Non riesco a capire quale sia la cultura svedese, penso che sia ciò che rende gelosi molti svedesi dei gruppi di immigrati. Voi [immigrati] avete una cultura, un’identità, una storia, qualcosa che vi unisce. E noi cosa abbiamo? Noi abbiamo la festa di mezza estate ed altre sciocchezze del genere”.
Nell’ottobre 2015, Ingrid Lomfors, a capo del “Forum for Lving History” un ente pubblico svedese, disse ai funzionari del gruppo: “Non esiste una cultura svedese autoctona”. Nel novembre 2015, il neo-premier canadese Justin Trudeau rilasciò un’intervista al New York Times, pubblicata poi il mese dopo, in cui affermava: “In Canada, non c’è nessuna identità principale, nessun mainstream. Ci sono valori condivisi – l’apertura, il rispetto, la compassione, la volontà di lavorare duro e di essere disponibili per gli altri, la sete di uguaglianza e di giustizia. Queste qualità sono ciò che ci rendono il primo Stato post-nazionale del mondo”.
Nel 2015, il premier canadese Justin Trudeau dichiarò: “In Canada, non c’è nessuna identità principale, nessun mainstream. Ci sono valori condivisi – l’apertura, il rispetto, la compassione, la volontà di lavorare duro e di essere disponibili per gli altri, la sete di uguaglianza e di giustizia. Queste qualità sono ciò che ci rendono il primo Stato post-nazionale del mondo”. (Fonte dell’immagine: Ufficio del primo ministro canadese)
Nel dicembre 2015, l’ex premier svedese Fredrik Reinfeldt, presidente del Consiglio europeo nel 2009, rilasciò un’ intervista a TV4 prima delle sue dimissioni dalla leadership del Partito Moderato, in cui si chiedeva retoricamente: “Questo è un paese che appartiene a coloro che vivono qui da tre o quattro generazioni oppure la Svezia è ciò che la gente che arriva qui a metà della vita rende tale? (…) A mio avviso, dovrebbe essere ovvia la seconda ipotesi e che una società sarebbe più forte e migliore se fosse aperta. (…) Gli svedesi non sono interessanti come gruppo etnico”.
Nella fattispecie, dichiarazioni del genere sono state proferite dai leader di Stati Uniti, Svezia e Canada – paesi che hanno una tradizione letteraria, musicale, artistica e culinaria diversa, oltre ad avere distinti sistemi giudiziari e governativi. Ma sono due le cose che le opinioni dei cinque leader hanno in comune: un’ideologia postmoderna e il bisogno di voti delle minoranze e degli immigrati.
Il postmodernismo ha due elementi chiave: il relativismo culturale e il postcolonialismo. Il relativismo culturale – sviluppato dall’antropologa americana Ruth Benedict, autrice del best-seller mondiale del 1934 Patterns of Culture (Modelli di cultura), e dal suo mentore, il “padre dell’antropologia americana”, Franz Boas – ha postulato che i ricercatori devono mettere da parte i loro valori e i pregiudizi culturali, e mantenere una mente aperta riguardo ai valori e ai pregiudizi delle culture di altri popoli per comprenderle. Nella seconda metà del XX secolo, i teorici dell’antropologia estesero questo all’ambito dell’etica, sostenendo che i giudizi derivanti da una cultura non potevano essere applicati ad altre culture – rendendo così tutte le culture altrettanto positive e preziose. Questa visione indusse l’American Anthropological Association, nel 1947, a respingere la Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo, che divenne la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, elaborata nel 1947 dalla Commissione sui Diritti umani delle Nazioni Unite.
Il post-colonialismo sostiene che i popoli di tutto il mondo andavano d’accordo tra loro fino a quando gli imperialisti occidentali non li invasero, li divisero, li conquistarono, li sfruttarono e li oppressero. A differenza del postmodernismo, che considera la cultura occidentale non migliore di altre culture, il post-colonialismo considera la cultura occidentale inferiore alle altre culture. Alla base di questo ripudio della cultura occidentale sembrano esserci tre fattori: il senso di colpa, la globalizzazione e la demografia. Molte nazioni occidentali – come la Gran Bretagna, la Francia, il Belgio, l’Olanda, la Spagna, il Portogallo e l’Italia – avevano imperi nella parte meridionale e orientale del globo tra il XVII e il XX secolo. Oggi, però, queste conquiste del passato sono considerate infauste da molti paesi che le hanno compiute e sono viste negativamente anche da nazioni non imperialiste come la Svezia e il Canada, quest’ultimo una colonia occidentale. La Germania, tardiva e marginale potenza imperialista, sembra sentirsi ancora in colpa per l’Olocausto. Paradossalmente, la decisione di accogliere innumerevoli nuovi arrivati in Europa, come se fossero i “nuovi profughi ebrei” di questo secolo ha causato una seconda fuga di ebrei.
E il senso di colpa non finisce qui. I paesi occidentali sono prosperi, con la maggior parte dei loro cittadini che godono quanto meno di un tenore di vita confortevole, mentre gran parte delle popolazioni africane e asiatiche vivono in povertà. Pertanto, molti occidentali ritengono che sia necessario redimersi, sotto forma di aiuti finanziari alle ex-colonie e accogliendo incondizionatamente nei paesi del Vecchio Continente migranti e profughi provenienti da quelle aree. Intanto, la globalizzazione economica ha indotto i paesi occidentali ad avere acquirenti e investitori in tutto il mondo, appartenenti a culture disparate, ma il trionfalismo occidentale è considerato come inadeguato alle relazioni economiche produttive.
Per quanto riguarda la demografia, negli ultimi decenni si è assistito a un aumento del flusso di popolazioni, causato in parte dal basso tasso di natalità in Occidente – con un livello di sostituzione notevolmente inferiore. Questo, a sua volta, ha evidenziato la necessità di manodopera per sostenere, o addirittura per far crescere, le economie. Il risultato è che la popolazione di ogni paese occidentale è più disomogenea a livello etnico, religioso e culturale. Per accogliere i migranti, aiutarli a integrarsi e mostrargli solidarietà, le loro nuove società dei paesi occidentali hanno incoraggiato un’apertura multiculturale, sminuendo la specificità delle proprie culture.
E questo ci porta alla questione elettorale: i politici delle democrazie occidentali che cercano di essere eletti, spesso sminuiscono le loro culture per raccogliere i voti degli immigrati e delle minoranze. Più grandi sono le comunità degli immigrati, più forte è l’incentivo a ingraziarsele. Alcune minoranze in crescita, come i musulmani in Europa, stanno formando i propri partiti politici per competere con quelle tradizionali. Questo connubio di postmodernismo e politica elettorale sta avendo un terribile effetto sulle società che si vantano dell’apertura e della diversità. Più che migliorare la cultura occidentale attraverso l’arricchimento offerto nei paesi con radici giudaico-cristiane da differenti gruppi etnici e religiosi, i multiculturalisti rifiutano di fatto la propria cultura occidentale. Mentre incoraggiano la diversità di razza, religione e tradizioni, proibiscono la diversità delle opinioni, in particolar modo quelle che non si conformano alla narrativa che si oppone all’Occidente. I multiculturalisti sembrano anche non volere riconoscere che l’Occidente, anche se imperfetto, offre comunque più libertà e prosperità a un maggior numero di persone come mai prima d’ora.
Questa visione distorta dell’Occidente è possibile solo se si rifiuta ostinatamente di vedere chi, storicamente, erano i veri colonizzatori. Come pensano che tutto il Medio Oriente e il Nord Africa siano diventati musulmani, attraverso un referendum democratico? I musulmani invasero e trasformarono l’Impero bizantino cristiano, che ora è una Turchia sempre più islamizzata; la Grecia, il Medio Oriente, il Nord Africa, i Balcani, l’Ungheria, Cipro Nord e la Spagna.
Se la civiltà occidentale vuole scampare a questo disprezzo farebbe bene a ricordare alla gente i suoi successi storici: l’umanesimo e i valori morali derivanti dalle tradizioni giudaico-cristiane; il suo pensiero illuminista; le sue rivoluzioni tecnologiche; la rivoluzione agricola e quella industriale del XVIII secolo nonché la rivoluzione digitale del XX secolo; la sua evoluzione politica in una vera democrazia; la separazione della Chiesa dallo Stato; il suo impegno per i diritti umani e soprattutto la sua libertà di espressione gravemente minacciata. Nel mondo, tutte le società avanzate hanno preso in prestito molti tratti della cultura occidentale; non avrebbero potuto definirsi avanzate se non lo avessero fatto. Gran parte di ciò che c’è di buono nel mondo si deve solo alla civiltà occidentale. È di vitale importanza non buttarlo via né di perderlo.
Philip Carl Salzman è docente di antropologia presso la McGill University, fellow del Middle East Forum e senior fellow del Frontier Center.